Maranassati
Rammemoramento della Morte

ADHUVAM JIVITAM
DHUVAM MARANAM
AVASSAM MAYA MARITABBAM
MARANAPARIYOSANAM ME JIVITAM
JIVITAM ME ANIYAMTAM
MARANAM ME NIYATAM


La vita non dura.
La morte perdura.
Inevitabile è la mia morte
Nella morte avrà fine la mia vita
La mia vita è incerta.
La mia morte certa.
Commento al Dhammapada, la Figlia del tessitore (cf. Buddhist Legends, Vol. III, p.14, (Pali Text Society, London))

ACIRAM VATAYAM KAYO
PATHAVIM ADHISESSATI
CHUDDO APETA VINNANO
NIRATTHAMVA KALINGARAM


Presto, questo corpo riverso
giacerà a terra
privo di coscienza
come un tronco che diviene marcio.
Dhammapada, 41

SABBE SATTA MARANTI CA
MARIMSU CA MARISSARE
TATHEVAHAM MARISSAMI
NATTHI ME ETTHA SAMSAYO


Anche in questo preciso momento ciò che ora è vivo ora muore,
e sempre moriranno i viventi, e sempre sono morti,
così morirò anch'io.
Su questo, io non ho alcun dubbio.

ANICCA VATA SANKHARA UPPADA-VAYA-DHAMMINO
UPPAJJITVA NIRUJJHANTI TESAM VUPASAMO SUKHO.


Ciò che è aggregato e condizionato non perdura,
nella sua natura vi è il formarsi e il dissolversi
dopo essersi formato, prima o poi si dissolve
Quiete nella dissoluzione. E gioia.
Mahaparinibbana Sutta - Digha Nikaya, 16


SUTTA NIPATA 3.8
Salla Sutta
La freccia

Traduzione di Enzo Alfano dall'originale inglese:
"Salla Sutta: The Arrow" (Snp 3.8), translated from the Pali by Thanissaro Bhikkhu. Access to Insight, June 7, 2009, http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/kn/snp/snp.3.08.than.html.

Senza indicazione,
ignota
così è la vita dei mortali in questo mondo
difficile,
breve,
colma di dolore.
Non esiste una via di scampo
per coloro che sono nati
di non morire.
Gli esseri sono soggetti
alla morte
soprattutto quando si raggiunge
un'età avanzata.

Come i frutti maturi
che sono destinati a cadere,
allo stesso modo i mortali, una volta nati,
il loro destino
è la morte.

Come i vasi di terra del vasaio
grandi e piccoli
cotti e crudi
finiscono tutti per rompersi,
allo stesso modo la vita
conduce alla morte.
Giovani e vecchi
saggi e stolti
ricchi e poveri:
tutti
cadono sotto il potere della morte,
tutti
hanno la morte come fine.

Per coloro vinti dalla morte,
giunti in un altro mondo,
un padre non può proteggere un figlio,
né i parenti i propri congiunti.
Guardate: come sono inermi,
gemendo profondamente,
i mortali sono
uno
per
uno
portati
come le mucche al macello.

In questo modo il mondo è afflitto
dalla vecchiaia e dalla morte,
mentre i risvegliati non soffrono,
conoscendo la vera realtà del mondo.

"Non conoscete la realtà
del trasmigrare di vita in vita:
non vedendo nessuna fine,
vi lamentate invano."

Così, angosciati,
confusi,
danneggiandosi a vicenda
se il vostro comportamento fosse utile a qualche scopo
sarebbe stato adottato dal saggio.
Ma non sono nè le lacrime nè la sofferenza
che portano la pace della coscienza.
Il dolore
è sempre presente. Il vostro corpo
è ferito.
Smagriti,
pallidi,
fate del male
a voi stessi.
Non è così
che ci si protegge dalla morte.
È inutile lamentarsi.

Senza abbandonare la sofferenza, una persona,
soffre ancora di più.
Gemendo per il tempo svanito,
si cade sotto il dominio del dolore.

Guardate gli altri
che vi precedono
le persone che arrivano
in funzione delle loro azioni:
cadendo sotto il dominio della morte,
sono terrorizzati.

Importa poco come l'immaginano,
finisce sempre
diversamente del previsto.
E' così l'impronta della separazione.
Osservate bene la realtà del mondo.

Anche se una persona vivesse cento anni
od oltre
deve sempre lasciare
i suoi congiunti,
abbandonare la sua vita
in questo mondo.

Così, dopo aver ascoltato l'insegnamento dell'arahant,
aver messo a tacere i suoi lamenti,
avendo visto i morti il cui tempo è compiuto,
[pensa] "Non posso riportarlo."
Come si spegnerebbe
un rifugio incendiato
con l'acqua,
così il risvegliato--
sapiente,
abile,
e saggio--
spazzate via ogni dolore,
come fa il vento con un ciuffo di cotone.

Cercando la vostra felicità,
togliete la vostra freccia:
i vostri lamenti,
le vostre invidie,
ed i vostri dispiaceri.
La freccia una volta strappata,
liberi,
ottenendo la pace della coscienza,
trascendendo ogni dolore,
senza sofferenza
la libertà vi appare.


MAJJHIMA NIKAYA 143
Anathapindikovada Sutta
Insegnamenti a Anathapindika

Traduzione di Enzo Alfano dall'originale inglese:
"Anathapindikovada Sutta: Instructions to Anathapindika" (MN 143), translated from the Pali by Thanissaro Bhikkhu. Access to Insight, June 7, 2009, http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.143.than.html
Questo ho sentito.
Un tempo il Sublime soggiornava presso Savatthi, nel Boschetto di Jeta, nel parco di Anathapindika. A quel tempo Anathapindika il capofamiglia era gravemente malato e molto sofferente. Quindi Anathapindika il capofamiglia disse ad uno dei suoi uomini,

"Vai dal Sublime e, appena giunto, salutalo riverentemente e poi gli dici: 'Signore, Anathapindika il capofamiglia è gravemente malato e molto sofferente. Vi rende omaggio prostrandosi in segno di rispetto.' Dopo vai dal Ven. Sariputta e, dopo averlo salutato con rispetto gli dici: ' Venerabile, Anathapindika il capofamiglia è gravemente malato e molto sofferente. Vi rende omaggio prostrandosi in segno di rispetto.' Quindi gli dici: 'Sarebbe bene se il Ven. Sariputta visitasse la casa di Anathapindika.' "


"Va bene, signore" rispose l’uomo a Anathapindika il capofamiglia, quindi si recò dal Sublime e, ivi giunto, dopo esserglisi prostrato innanzi, si sedette ad un lato e disse: "Signore, Anathapindika il capofamiglia è gravemente malato e molto sofferente. Vi rende omaggio prostrandosi in segno di rispetto." Poi si recò dal Ven. Sariputta e, ivi giunto, dopo esserglisi prostrato innanzi, si sedette ad un lato e disse 'Venerabile, Anathapindika il capofamiglia è gravemente malato e molto sofferente. Vi rende omaggio prostrandosi ai vostri piedi." Quindi gli disse: “Sarebbe bene se il Ven. Sariputta visitasse la casa di Anathapindika.' "


Quindi il Ven. Sariputta, dopo aver preso ciotola e mantello, si recò alla casa di Anathapindika il capofamiglia assieme al Ven. Ananda. Lì giunto, si sedette su un seggio predisposto e disse a Anathapindika il capofamiglia: "Spero che tu stia meglio, che ti senta tranquillo, che i dolori siano diminuiti e non aumentati e che la tua malattia si sia attenuata."


[Anathapindika:] "Non mi sento meglio, venerabile. Non sono tranquillo. I miei dolori sono aumentati, e non diminuiti. La malattia si evolve in maniera grave. Forti dolori mi trafiggono la testa, come se un uomo vigoroso me la stesse dividendo in più parti con una spada tagliente... o divampano continuamente nella mia testa, come se un uomo vigoroso mi stesse stringendo la testa con un turbante fatto con cinghie di cuoio ... o mi tagliano lo stomaco, come se un macellaio o il suo apprendista stesse squarciando lo stomaco di un bue... Sento nel corpo un tremendo bruciore, come se due uomini vigorosi, dopo aver afferrato per le braccia un esile uomo, lo stessero cuocendo e arrostendo su dei tizzoni ardenti. Non mi sento meglio, venerabile. Non sono tranquillo. I miei dolori sono aumentati, e non diminuiti. La malattia si evolve in maniera grave.."


[Ven. Sariputta:] "Allora, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: ‘Io non avrò attaccamento al senso della vista; la mia coscienza non dipenderà dal senso della vista.' Così dovresti esercitarti.

‘Io non avrò attaccamento al senso dell’udito... dell’olfatto... del gusto... del tatto; la mia coscienza non dipenderà dal senso del tatto.' ... ‘Io non avrò attaccamento agli oggetti mentali; la mia coscienza non dipenderà dagli oggetti mentali.' Così dovresti esercitarti .


“Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: ‘Io non avrò attaccamento alle forme... ai suoni... agli odori... ai gusti... alle sensazioni tattili; la mia coscienza non dipenderà dalle sensazioni tattili.' ...

‘Io non avrò attaccamento ai concetti; la mia coscienza non dipenderà dai concetti.' Così dovresti esercitarti.


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo : ‘Io non avrò attaccamento alla coscienza visiva... alla coscienza uditiva... alla coscienza olfattiva... alla coscienza gustativa... alla coscienza fisica; la mia coscienza non dipenderà dalla coscienza fisica.' ... ‘Io non avrò attaccamento alla coscienza mentale; la mia coscienza non dipenderà dalla coscienza mentale.' Così dovresti esercitarti.

"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: ‘Io non avrò attaccamento al contatto visivo... al contatto uditivo... al contatto olfattivo... al contatto gustativo... al contatto fisico; la mia coscienza non dipenderà dal contatto fisico.' ... ‘Io non avrò attaccamento al contatto mentale; la mia coscienza non dipenderà dal contatto mentale.' Così dovresti esercitarti.


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: ‘Io non avrò attaccamento alla sensazione sorta dal contatto visivo... alla sensazione sorta dal contatto uditivo... alla sensazione sorta dal contatto olfattivo... alla sensazione sorta dal contatto gustativo... alla sensazione sorta dal contatto fisico; la mia coscienza non dipenderà dalla sensazione sorta dal contatto fisico.' ... Io non avrò attaccamento alla sensazione sorta dal contatto mentale; la mia coscienza non dipenderà dalla sensazione sorta dal contatto mentale.' Così dovresti esercitarti


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: ‘Io non avrò attaccamento all’elemento-terra... all’elemento-acqua... all’elemento-fuoco... all’elemento-aria... all’elemento-spazio; la mia coscienza non dipenderà dall’elemento-spazio.' ... ‘Io non avrò attaccamento all’elemento-coscienza; la mia coscienza non dipenderà dall’elemento-coscienza.' Così dovresti esercitarti.


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo : ‘Io non avrò attaccamento alla forma... alla sensazione... alla percezione... alle formazioni mentali; la mia coscienza non dipenderà dalle formazioni mentali.' ... ‘Io non avrò attaccamento all’aggregato-coscienza; la mia coscienza non dipenderà dall’aggregato-coscienza.' Così dovresti esercitarti.


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: 'Io non avrò attaccamento alla dimensione dell’infinità dello spazio... la dimensione dell’infinità della coscienza... la dimensione della vacuità; la mia coscienza non dipenderà dalla dimensione della vacuità.' ... 'Io non avrò attaccamento alla sfera di né-percezione né non-percezione; la mia coscienza non dipenderà dalla sfera di né-percezione né non-percezione.' Così dovresti esercitarti.


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: 'Io non avrò attaccamento né a questo mondo né all’altro; la mia coscienza non dipenderà né da questo mondo né dall’altro.' Così dovresti esercitarti.


"Inoltre, capofamiglia, dovresti esercitarti in questo modo: ' Io non mi attaccherò a ciò che è visto, sentito, percepito, conosciuto, ottenuto, desiderato, considerato dalla mente; la mia coscienza non dipenderà da ciò.' Così dovresti esercitarti."

Detto ciò, Anathapindika il capofamiglia pianse e versò molte lacrime. Il Ven. Ananda gli chiese:" Sei addolorato, capofamiglia? Ti sei rattristato?"

"No, venerabile. Non sono né addolorato, né rattristato. Da molto tempo seguo il Maestro e la comunità dei monaci, ma non ho mai ascoltato un discorso sul Dhamma come questo."

"Questo breve discorso sul Dhamma, capofamiglia, non è stato mai fatto ai laici vestiti di bianco. E’ stato fatto solo a coloro che hanno intrapreso la vita religiosa."

"Allora, Ven. Sariputta, detta questo breve discorso sul Dhamma ai laici vestiti di bianco. Vi sono persone appartenenti a vari clan che sono pronte ad ascoltare queste parole di Dhamma. Ci saranno coloro che le capiranno."

Allora il Ven. Sariputta e il Ven. Ananda, dopo aver dato questo insegnamento a Anathapindika il capofamiglia, si alzarono dai loro seggi e andarono via. Poi, non molto tempo dopo, Anathapindika il capofamiglia morì e rinacque nel reame paradisiaco dei deva Tusita. Quindi Anathapindika il figlio dei deva, in una notte inoltrata, illuminando completamente il Boschetto di Jeta con la sua luce abbagliante, si recò dal Sublime e, appena giunto, gli si prostrò innanzi e stette ad un lato. Poi rivolse al Sublime questi versi:


Questo Beato nel Boschetto di Jeta,

assieme alla sua comunità di veggenti,

dove dimora con il Dhamma maestoso:

fonte di estasi per me.


Attraverso l’azione, la perfetta conoscenza, e le qualità mentali,

la virtù, il più alto [modo di] di vita:

gli esseri mortali vengono purificati,

non per la loro appartenenza a clan o per la loro ricchezza.


Il saggio,

vedendo i vari benefici,

nel penetrare adeguatamente il Dhamma,

li rende perfettamente puri.


Come Sariputta:

dove nessun monaco che è andato al di là della conoscenza,

lo supera

in saggezza, virtù e calma mentale.


Questo disse Anathapindika il figlio dei deva. Il Maestro approvò. Quindi, Anathapindika il figlio dei deva [intuendo] "Il Maestro mi ha approvato," si prostrò innanzi, e scomparve girandogli intorno tenendo la destra.

Quindi verso l’alba, il Sublime si rivolse ai monaci: "L’altra volta, monaci, un figlio dei deva in una notte inoltrata, illuminando completamente il Boschetto di Jeta con la sua luce abbagliante, si avvicinò a me e, appena giunto, mi si prostrò innanzi e stette ad un lato. Quindi mi rivolse questi versi:


Questo Beato nel Boschetto di Jeta,

assieme alla sua comunità di veggenti,

dove dimora con il Dhamma maestoso:

fonte di estasi per me.


Attraverso l’azione, la perfetta conoscenza, e le qualità mentali,

la virtù, il più alto [modo di] di vita:

gli esseri mortali vengono purificati,

non per la loro appartenenza a clan o per la loro ricchezza.


Il saggio,

vedendo i vari benefici,

nel penetrare adeguatamente il Dhamma,

li rende perfettamente puri.


Come Sariputta:

dove nessun monaco che è andato al di là della conoscenza,

lo supera

in saggezza, virtù e calma mentale.


" Questo disse il figlio dei deva. E [pensando], "Il Maestro mi ha approvato," si prostrò innanzi, e scomparve girandomi intorno tenendo la destra."

Detto ciò, il Ven. Ananda disse al Sublime: "Signore, era Anathapindika il figlio dei deva. Anathapindika il capofamiglia ebbe somma fiducia nel Ven. Sariputta."

"Molto bene, Ananda. Molto bene, sei riuscito a comprendere tramite la riflessione logica. Era proprio Anathapindika il figlio dei deva, e nessun altro."

Così parlò il Sublime. Felice, il Ven. Ananda approvò le sue parole.


ANGUTTARA NIKAYA 6.19
Maranassati Sutta
Rammemoramento della Morte

Traduzione di Federico Cabitza dall'originale inglese:
"Maranassati Sutta: Mindfulness of Death (1)" (AN 6.19), translated from the Pali by Thanissaro Bhikkhu. Access to Insight, June 7, 2009, http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/an/an06/an06.019.than.html

Dicono che un giorno il Beato stesse soggiornando a Nadika, nella Sala di Mattoni.
In quel luogo egli si rivolse ai monaci, "Monaci!" e questi gli risposero "Sì, signore".
Il Beato allora disse: "Aver sempre presente la natura [sati] della morte, coltivare tale consapevolezza e affinarla con costante sollecitudine, porta benefici ed è di reale giovamento. Farlo permette di avere un punto di appoggio nell'assenza di morte [deathless - amata], e nell'assenza di morte ha il suo ultimo fine. Per questo motivo dovreste sempre rammemorarvi della morte e averla sempre presente dentro di voi con attenta consapevolezza."

Dopo aver udito queste parole, un monaco si rivolse al Beato: "Io già coltivo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte."
Al che, il beato gli chiese: "E come la coltivi questa sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte?"

Il monaco allora gli disse: "Mi dico, tra me e me: ' Potessi vivere anche un solo giorno ed una sola notte, in cui riuscissi ad attenermi agli insegnamenti del Beato. Avrei comunque raggiunto un grande risultato.' In questo modo sviluppo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte."

Al ché anche un altro monaco si rivolse al Beato e disse: "Anche io coltivo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte." "Mi dico, tra me e me: ' Potessi vivere per anche un solo giorno, in cui riuscissi ad attenermi agli insegnamenti del Beato. Avrei raggiunto comunque un grande risultato.' In questo modo sviluppo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte.".

Quindi un terzo monaco si rivolse al Beato e gli disse: "Anche io coltivo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte." "Mi dico, tra me e me: ' Potessi vivere anche solo il tempo di consumare un solo pasto, in cui riuscissi ad attenermi agli insegnamenti del Beato. Avrei raggiunto comunque un grande risultato.' In questo modo sviluppo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte.".
Un quarto monaco prese la parola e disse: "Anche io coltivo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte." "Mi dico, tra me e me: ' Potessi vivere anche solo il tempo di mangiare quattro bocconi di cibo, in cui riuscissi ad attenermi agli insegnamenti del Beato. Avrei raggiunto comunque un grande risultato.' In questo modo sviluppo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte.".
Un quinto monaco invece disse: "Anche io coltivo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte." "Mi dico, tra me e me: ' Potessi vivere anche solo il tempo di inghiottire un solo boccone, in cui riuscissi ad attenermi agli insegnamenti del Beato. Avrei raggiunto comunque un grande risultato.' In questo modo sviluppo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte.".
Un sesto monaco invece disse. "Anche io coltivo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte." "Mi dico, tra me e me: ' Potessi vivere anche solo il tempo di espirare l'aria che avessi appena inspirato, in cui riuscissi ad attenermi agli insegnamenti del Beato. Avrei raggiunto comunque un grande risultato.' In questo modo sviluppo una sempre più profonda e attenta consapevolezza della morte.".

Dopo aver sentito parlare in questo modo i monaci, il beato si rivolse a tutti loro e disse: "Chiunque sviluppi una sempre più attenta e precisa consapevolezza della morte, pensando: 'Potessi anche vivere per un solo giorno ed una notte... o per un solo giorno... o per il tempo necessario per consumare un solo pasto... in cui riuscissi comunque ad attenermi agli insegnamenti del Beato, anche in quel caso avrei raggiunto un grande risultato.' - si può dire che costui viva in modo disattento.
Infatti questi sviluppa consapevolezza della morte al fine di estinguere pensieri negativi in modo lento e poco efficace.

"Al contrario, chiunque sviluppi consapevolezza della morte, pensando: 'Potessi anche vivere per il solo tempo necessario ad inghiottire un boccone di cibo, o a prendere respiro per una sola volta, in cui riuscissi comunque ad attenermi agli insegnamenti del Beato, anche in quel caso avrei raggiunto un grande risultato.' - si può dire che costui viva in modo attento.
Infatti questi sviluppa consapevolezza della morte al fine di estinguere pensieri negativi in modo acuto ed efficace.


Per questo motivo, monaci, dovreste tutti impratichirvi ripetendo dentro di voi: "Vivremo sempre con intensa consapevolezza. Coltiveremo sempre una piena e attenta consapevolezza della morte in modo acuto e per estinguere efficacemente pensieri negativi e malsani.".
Questo disse il Beato. I monaci, soddisfatti, si allietarono delle parole del Beato.


ANGUTTARA NIKAYA 5.57
Upajjhatthana Sutta
Elementi da rammemorare frequentemente

Traduzione di Federico Cabitza dall'originale inglese:
"Upajjhatthana Sutta: Subjects for Contemplation" (AN 5.57), translated from the Pali by Thanissaro Bhikkhu. Access to Insight, June 7, 2009, http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/an/an05/an05.057.than.html .

Cinque sono i fatti di cui uno dovrebbe rammemorarsi spesso e su cui dovrebbe riflettere, sia che sia uomo o donna, laico o monaco. I fatti sono:

Nella mia natura vi è il continuo invecchiare, non posso evitare di invecchiare.
(pali: JARAADHAMMOMHI, JARAM ANATITO)

Nella mia natura vi è la malattia, non posso evitare di ammalarmi.
(pali: BYAADHIDHAMMOMHI, BYAADHIM ANATITO)

Nella mia natura vi è la morte, non posso evitare di morire.
(pali: MARANADHAMMOMHI MARANAM ANATITO)

Mi dovrò inevitabilmente separare da tutto ciò che mi è caro e che mi allieta.
(pali: SABBEHI ME PIYEHI MANAPEHI NANABHAVO VINABHAVO)

Sono l'unico responsabile delle mie azioni [kamma] e il loro unico erede. Quello che sono e divento dipende dalle mie azioni, le relazioni che ho con gli altri e con le cose dipendono dalle mie azioni e solo dalle mie azioni dipenderà la mia serenità. Qualunque cosa io faccia, di buono o di cattivo, ne raccoglierò i frutti.
(pali: KAMMASAKKOMHI KAMMADAAYAADO KAMMAYONI KAMMABANDHUU KAMMAPATISARANO, YAM KAMMAM KARISSAAMI KALYAANAM VAA PAAPAKAM VAA TASSA DAAYAADO BHAVISSAAMII)

[...]


YOGA della MEDITAZIONE IN NOVE PUNTI SULLA MORTE
rielaborazione dal 'lam rim chen mo' di Tsongkhapa,

Traduzione di Federico Cabitza dall'originale inglese:
"Death and dying in the tibetan buddhist tradition", compiled by Pende Hawter. Copyright Buddha Dharma Education Association, 1996-2009, http://www.buddhanet.net/deathtib.htm.

La morte è certa.

Non è possibile sfuggire alla morte. Nessuno ci è mai riuscito, neppure chi viene ancora ricordato dopo migliaia di anni. Nessuno, dei sei miliardi e più di esseri umani che vivono in questo momento sulla terra, lo sarà ancora tra appena centocinquanta anni.
La vita di ciascuno di noi ha una sua durata e nulla la può cambiare; ogni istante che viviamo ci avviciniamo un po' di più al suo termine. Da una parte si può dire che stiamo morendo un po' ogni momento, a partire da quello in cui siamo venuti alla luce. D'altra parte, la morte definitiva è questione di un istante e non sappiamo quando questo istante accadrà. Tutto ciò che ci separa dalla morte non è che lo spazio di un respiro.
[...]

Il momento della nostra morte ci è ignoto.

Non ci è dato sapere per quanto vivremo ancora. Chi è giovane può morire prima di chi è anziano, chi è sano prima di chi è malato.
Per molte cause e in molte condizioni possiamo trovare la morte; poche invece sono le condizioni che favoriscono la nostra salute.
Perfino le cose che solitamente ci aiutano a rimanere in vita ci possono uccidere, come ad esempio il cibo che mangiamo.
La debolezza, la vulnerabilità e la fragilità del nostro corpo contribuiscono tutte a rendere la nostra vita incerta.
Molte cose possono distruggere il nostro corpo, quali ad esempio un incidente, una malattia o qualche calamità naturale.
[...]

L'unica cosa che può esserci d'aiuto al momento della nostra morte è quanto saremo riusciti a sviluppare la nostra forza d'animo e la nostra maturità spirituale.

Le cose che possediamo ora, come la ricchezza, i beni, la posizione sociale, il denaro, non ci sarà di nessun aiuto.
Nè parenti, nè gli amici più cari potranno evitarci la morte, nè potranno provare insieme a noi quello che dovremo provare.
Neppure il nostro corpo, il nostro prezioso e unico corpo, ci potrà essere d'aiuto. Dovremo lasciare tutto indietro, come un soprabito che non metteremo più.
[...]